PRESS



www.vanclassicalmusic.com - By RICHARD KURTH - Published: October 2018

In his program note, Paolo Aralla writes that ‘musical instruments preserve memory of the intelligence and hands that conceived and realized them …. To compose is like remembering through musical instruments, it is therefore discovering that every sound has a root, a past, a memory.’ In his String Quartet No. 4 (2018) we hear the quartet rediscovering its past: out of inchoate string noises, some static and others unstable, fragmentary simulacra of Beethoven's String Quartet in C# minor Op. 131, Bach's Art of the Fugue, and other works emerge very occasionally, creating a quasi-dialectical discourse against a background of blurred memories and uncertain awareness. The sound textures are structurally and sensuously beautiful, and affecting. There is nostalgia perhaps, but more in the form of appreciative rediscovery and resonance than a sense of loss. Like the Miller and Zorn quartets of the previous evening, this work seeks to engage music of the past in ways that resonate authentically with the postmodern moment. Instead of a gloomy cliché of shattered meanings, Aralla's music proposes that the past isn't broken and lost, but instead floats in the ether of memory and awareness, always available for rediscovery in the present and future, at least in meaningful fragments — with archeological wonder and without nostalgia for an ungraspable whole.



Dance Magazine - By CYNTHIA HEDSTROM - Published: December 1, 07

Veggetti composes for the individual characteristics of each performer, particularly capturing Chiaverini's sleek elegance, turning classical line inside out with her sinuous movement, arms, legs, and fingers extending and curling back on themselves. Paolo Aralla's score for cello and electronic tape augments the tensile quality of the choreography as the dancers whip through intricate turns or hold a movement in suspension. As paths conjoin, the tension heightens, and sensual duets are as taut as steel wire.



NewYorkTimes - By CLAUDIA LA ROCCO - Published: September 29, 2007

Mr. Veggetti opts for surfaces over interiors; his sumptuous movements alienate even as they seduce, and it is this tension, which he doesn't always find, that drives the work. His "Four/Voice" unfolded against the beautiful, sinister rush of Paolo Aralla's "Analogie" for amplified cello (played by Michael Nicolas) and tape.



NewYorkTimes - By JOHN ROCKWELL - Published: March 16, 2006

The most striking piece - also European, loud and dark - was the first, "Silence Text," by the Italian dancer and choreographer Luca Veggetti. It had a compelling, threatening score by Paolo Aralla and bold lighting by Roderick Murray, both sometimes initiated by the dancers.



Gian Paolo Minardi - 2012

Le doti di Francesco Dillon si sono potute ammirare attraverso lo spettro oltremodo differenziato del programma: che muoveva da "Analogie: IV quaderno" di Aralla dove il violoncello da quell'inizio solitario diventa partecipe sempre piu' attivo entro una trama sonora via via piu' intrecciata dalla proliferazione elettronica, un fermentare avventuroso e ordinato insieme . . .



Gianfranco Capitta, CIVIDALE DEL FRIULI, 20.07.2013
Vivo e coscienza, facce contrapposte
© 2015 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE
link

Ma una sorpresa c’era, nella curiosa programmazione d’apertura di Mittelfest, in una delle tante sezioni in cui il festival è stato suddiviso, intitolate a Pasolini . . . La bella sorpresa è arrivata, per quanto «incredibile», con un testo del 1963 mai visto sulle scene, proprio da Pier Paolo Pasolini. Un canovaccio per una coreografia mai realizzata, ma che a rileggerlo oggi contiene già moltissimi degli elementi che caratterizzeranno il teatro che il poeta di Casarsa scriverà un paio d’anni dopo, sei commedie scritte tutte di seguito, in una pausa della sua attività cinematografica dovuta a una malattia. Vivo e Coscienza è il titolo del testo, e a interpretare i due personaggi così chiamati, avrebbero dovuto essere Ninetto Davoli e Laura Betti. La composizione della partitura sarebbe stata affidata a Bruno Maderna, e le coreografie a un artista che poteva essere Maurice Bejart, o più probabilmente Jerome Robbins, fresco del successo planetario di West Side Story; il tutto prodotto e commissionato dalla Biennale di Venezia. Non se ne fece niente, resta solo il riscontro nel volume dei Meridiani dedicato da Walter Siti al teatro di Pasolini. Che si era molto appassionato (e magari invogliato ad emulare) per i Sette peccati capitali di Brecht e Weill, protagoniste alla voce la stessa Betti e alla danza Carla Fracci. Perché il tema della seduzione è quello centrale nel testo, formato da quattro episodi distanziati nei secoli e nei decenni (come nel successivo Calderon), ma intimamente legati nell’iterazione di un bacio che la Coscienza consapevole tenta di ottenere dalla irruenza tutta corporale di Vivo. Il coreografo Luca Veggetti ha proposto questo illustre repechage alla Civica Scuola Paolo Grassi di Milano, che l’ha prodotta e realizzata, affidandone le musiche a Paolo Aralla. Non meno motivata e illustre è stata la scelta della voce che leggesse, e legasse, didascalie e frammenti originari: Francesco Leonetti, ultimo rappresentante della rivista Officina creata e diretta con lo stesso Pasolini e con Roberto Roversi. Un’esperienza piena di stimoli ed emozioni per il pubblico, e una prova di maturità professionale per gli allievi danzatori che l’hanno interpretata, e che si spera continuerà a girare.




L'ultima tentazione di Pasolini: la danza Al Mittelfest
in scena per la prima volta l'unica coreografia pensata da PPP: realizzata da Luca Veggetti, musica di Aralla
Maria Grazia Gregori, 19 luglio 2013 @ l'Unità

link

Ogni anno Mittelfest ci regala qualche sorpresa. Questa volta la vera scoperta è vedere in scena per la prima volta l'unica coreografia pensata e abbozzata (nel 1963) in quattro quadri da Pier Paolo Pasolini, Vivo e Coscienza. Dunque il rapporto uomo / donna, popolo / borghesia, passione e ragione, naturalezza e ideologia e un bacio perennemente mancato raccontato in quattro epoche diverse: il Seicento del Concilio di Trento, la Rivoluzione francese, il capitalismo fascista, la Resistenza. L'idea di PPP era quella di affidarne l'interpretazione a Ninetto Davoli e a Laura Betti, il progetto musicale a Bruno Maderna e quello coreografico a Maurice Béjart. Ma non se ne fece nulla. Se oggi Vero e Coscienza è diventato uno spettacolo (il 7 ottobre arriva all'Elfo Puccini per Milanoltre), lo si deve al coreografo Luca Veggetti, nato come ballerino alla Scala ma da anni apprezzato e innovativo coreografo che collabora, fra gli altri, con il New York City Ballet e con la Martha Graham Dance Company; all'affascinante progetto musicale di Paolo Aralla; all'interpretazione sorprendente di nove giovani danzatori (Vito Carretta, Silvia Dezulian, Laura Ghelli, Angela Papagni, Marco Pericoli, Alice Raffaelli, Giulia Rossi, Jonathan Tabacchiera, Gabriele Valerio) che si sono formati nei corsi di Teatrodanza della Paolo Grassi di Milano e alla straordinaria, poetica voce registrata di Francesco Leonetti, grande vecchio e amico di Pasolini, nonché interprete di alcuni suoi film famosi, che ne dice le didascalie. Introdotti dal ticchettio di una macchina da scrivere i quattro quadri, nella coreografia di Veggetti - che si snoda fra incontri e scontri nell'esemplare castità di movimenti privi di qualsiasi virtuosismo e proprio per questo davvero significanti per chi guarda -, si trasformano in quattro danze che ruotano attorno ai due protagonisti calati dentro mondi popolati da una sorta di «coro» dei corpi, che si muovono, quasi guidati dalla sua voce, in sintonia con il loro invisibile corifeo Leonetti. Tocca al progetto sonoro di Aralla unire epoche e situazioni diverse in una scena che si avvale solo di tre tavoli microfonati che dilatano suoni e gesti, dove si mescolano epoche diverse per finire con la voce di Modugno, parole di Pasolini, che canta Cosa sono le nuvole.




Tra Michelangelo e Microcosmi meno male che c'è Pasolini
Anna Bandettini, 21.07.2013 @ Repubblica

link

Meno male che si è visto Vivo e coscienza, unica opera in forma coreografica di Pasolini: mai andata in scena, scritta nel '63 per la Biennale, pensata con le musiche di Bruno Maderna, la voce di Laura Betti e Ninetto Davoli, le coreografie di Bejart (o Jerome Robbins) è un canovaccio incompleto che nella sua idea di teatrodanza testimonia quanto Pasolini fosse avanti. Diviso in quattro quadri - Seicento, Rivoluzione Francese, fascismo e Resistenza - è la lotta tra passione e ideologia e del loro bacio mancato. Il balletto del coreografo Luca Veggetti ha trovato sintonia profonda col testo - letto con la bella voce roca registrata del poeta Francesco Leonetti - nell'astrattezza delle musiche di Paolo Aralla (alla fine un accenno di Cosa sono le nuvole, scritta da Pasolini con Modugno) e nella verità del gioco sottile intorno a tre tavoli che diventano séparé, pedane, alcove, del cercarsi e rincorrersi con gesti precisi delle coppie di danzatori, allievi del Corso di Teatrodanza coordinato da Marinella Guatterini alla Scuola Paolo Grassi di Milano. Sono tutti bravi: Vito Carretta, Silvia Dezulian, Laura Ghelli, Angela Papagni, Marco Pericoli, Alice Raffaelli, Giulia Rossi.




“Vivo e Coscienza”: la lotta senza un vero epilogo
Luca Veggetti immagina il progetto del poeta bolognese rimasto incompiuto che si fa ancora più pasoliniano grazie alla narrazione di Francesco Leonetti.
Laura Sciortino, 02.06.2015 @ Corrierespettacolo.it
link

«Verrà un giorno in cui la coscienza diverrà vita e la vita coscienza», ma quel giorno, arriverà davvero? Restano vaghe e sospese le parole di Francesco Leonetti, poeta e amico personale di Pier Paolo Pasolini, voce fuoricampo per il lavoro di Luca Veggetti proposto in occasione della XXIIesima edizione di Fabbrica Europa. Al Teatro Cantiere Florida va in scena “Vivo e Coscienza”, non solo una coreografia ma un lavoro plurilinguistico che discende dall’omonimo frammento di Pier Paolo Pasolini risalente al 1963. Il coreografo e regista si lascia ispirare all’originaria idea del poeta che oltre cinquant’anni fa, in occasione della Biennale di Venezia, pensò di realizzare un progetto in cui i diversi linguaggi artistici potessero coesistere, affascinato dai significati che un’esperienza come “I sette peccati capitali” del 1961 era riuscito a contenere. Ora come allora la conferma che la musica, la coreografia e le parole possono condensarsi all’interno di un’unica rappresentazione che, proprio per questa sua particolare caratteristica, si fa più densa di significati. Lo spettacolo, prodotto da Fondazione Milano Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, si snoda in sessanta minuti di azione, narrazione e componimenti sonori e il risultato è quello di una rappresentazione dal linguaggio suggestivo e molto articolato. “Vivo e Coscienza” non ha bisogno che dei suoi danzatori per rivelarsi: un palcoscenico privo di qualsiasi costrutto scenografico, mancano anche le quinte e il fondale, ci sono solo tre tavoli in funzione della coreografia che diventano parte integrante del racconto e il luogo che permette di esprimere i significati più forti. La collisione degli interpreti con questo unico elemento scenico genera un effetto di grande impatto acustico che si realizza per mezzo di un particolare dispositivo. I movimenti si amplificano perché diventano anche suoni, rumori fortissimi che inizialmente sembrano essere solo il risultato di una perfetta sincronia tra la danza e una base registrata. Tale progetto sonoro viene studiato e pensato da Paolo Aralla il quale è riuscito a dosare attentamente un progetto acustico così innovativo con del materiale musicale tratto dalla tradizione popolare del dopoguerra o da rivisitazioni di brani secenteschi. La storia di discendenza pasoliniana rappresenta il dissidio, che non riesce a risolversi davvero, tra i due personaggi che portano gli stessi nomi del titolo: due figure, un uomo e una donna contrapposti all’idea del gruppo; la narrazione della storia è fatta di contrasti semantici e non è affidata a due soggetti specifici, poiché a diversi danzatori è concesso di divenire ogni volta la coppia di protagonisti. La scelta degli abiti richiama alla mente l’immagine del dipinto “Primo Maggio” di Giuseppe Pellizza da Volpedo sia per la scelta dei colori, il bordeaux, il grigio, il marrone, ma anche per l’idea di un gruppo che avanza nei valori del lavoro, di una rivoluzione ma anche di una guerra a cui inevitabilmente si lega il senso di morte. Un aspetto questo che sottolinea lo schema formale in quattro quadri in cui Pasolini aveva inizialmente pensato di suddividere l’azione; il poeta non completò mai l’opera che aveva pensato di realizzare, mentre il coreografo, lavorando sulle sue didascalie “progettuali”, ha voluto ripartire lo spettacolo pensando alla sua originaria idea di suddivisione. La coreografia è molto ben strutturata, permette di percepire il senso di lotta tra due forze diverse, dunque il “prestabilito” senso di attrazione tra elementi che sono contrastanti. Anche l’idea del movimento viene rappresentata nella sua definizione di opposto: a momenti di totale dinamismo coreografico si alternano arresti in un fermo immagine che conduce lo spettatore al solo ascolto delle parole del Leonetti. Un equo bilanciamento tra elementi che sembrano dissonanti ma riescono a coesistere senza che nessuno prevalga sull’altro; la contesa resta tale e i dubbi irrisolti. Pur nelle sue riflessioni di condanna, una rappresentazione di questo tipo lascia pensare che dopotutto potrei essere «io…estraneo al mondo».




Danza o pura vita: un Pasolini incompiuto a Mittelfest
Giulia Valsecchi, 16.07.2013 @ linkiesta.it
link

Nella cornice della XXII edizione di Mittelfest a Cividale del Friuli, in aperto incrocio di civiltà dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, lo scorrere degli appuntamenti ha preso l’avvio dalla monumentalità visiva di Michelangelo di Tomaž Pandur, continuando ad attraversare echi di universi mitteleuropei solitamente sfuggenti, ammessi alle piazze come memoria letteraria o innescati dalla tradizione storica. Ne sono prova la versione fin troppo alleggerita del Novecento data da Lina Wertmüller in Un’allegra fin de siècle, quadro epocale da cafè chantant e dittatori sanguinari con baffetto o, all’opposto, la scrittura densa e sorvegliata delle umanità presenti in Microcosmi di Claudio Magris. Titolo quest’ultimo di un romanzo che si imprime principalmente come ritorno di idee a Mittelfest e, dopo una lunga, eroica maratona scenica e itinerante in più luoghi cividalesi, per la regia di Giorgio Pressburger, caratterizza il richiamo fino al 20 luglio a intrecci possibili di generi con occasioni di ripescaggio talvolta inestimabile. È questa la condizione di Vivo e Coscienza, copione scritto da Pier Paolo Pasolini nel 1963, rimasto incompiuto e proposto domenica 14 dal coreografo Luca Veggetti in una coproduzione Milano Teatro Scuola Paolo Grassi e Mittelfest. Una sequenza aperta di quattro quadri concepiti per la danza e contraddistinti da uno sviluppo drammaturgico che riserva esito pieno soltanto al primo e, in un’annotazione a margine dell’autore, prevede la riduzione a tre delle scene. Il passaggio della scrittura pasoliniana dal ritratto scenico alla didascalia vera e propria è stato fatto oggetto di uno studio il cui riverbero appartiene alle cornici storiche che inquadrano il dualismo centrale dei volti di Vivo e Coscienza: il Concilio di Trento, la Rivoluzione Francese, il Fascismo e la Resistenza. Quattro capisaldi dove la simbologia di Vivo compare per la prima volta come adolescente che compie un «lavoro antico» ed è carico di pura vita, premessa alla trasformazione in danza e all’opposizione a Coscienza, emblema di pudicizia e castigo secenteschi. I calchi pasoliniani sciolgono via via temperamenti che a passi alterni muovono Vivo in una lotta-vicinanza con Coscienza nell’impossibilità di un bacio e necessaria fusione tra quanto è proteso e rivoluzionario e ciò che invece incarna il compassionevole, alto e riposto. La scena coreutica è reinterpretata da Veggetti anche mediante le posizioni di tre tavoli capaci di riprodurre sia lo sciame degli amici di Vivo, sia l’isolamento di Vivo e Coscienza in duello passionale e ideologico. Laddove i tavoli si inclinano o vengono sollevati da un gruppo di giovani danzatori di intensità davvero tenace, quasi ne escono motivi da ritrattistica sacra o caravaggesca, linee di fuga dietro cui l’occhio finisce per perdersi, senza tuttavia veder mai annacquato il conflitto pasoliniano tra passione e aspirazione mistica, ombra e luce. I raccordi tra la mitologia vitalistica di Vivo e l’impulso casto di Coscienza, tra l’«anonimo vivo» e colei che pure conserva in disperazione la luce della speranza appartengono però anche a una precisa partitura sonora in origine destinata al compositore Bruno Maderna e qui affidata a Paolo Aralla. Nonostante le indicazioni di Pasolini siano precise attorno alle distorsioni da operare, il movimento impresso da Aralla procede soprattutto dalle fonti e dalla loro trasformazione. Dalla partitura della Passione secondo Matteo di Bach, utilizzata nel film Il Vangelo secondo Matteo, a una tecnica di elaborazione sonora proveniente da microfoni collegati ai tavoli e riflessi in un gioco di interazioni ottenute in tempo reale, mediante le amplificazioni delle coreografie. A ogni gesto, relazione, scambio o rincorsa di Vivo e Coscienza fuori e dentro le barriere corrispondono scie che acquistano ancora più forza in corrispondenza della voce registrata del poeta novantenne Francesco Leonetti - già corvo in Uccellacci e uccellini - cui è affidata la lettura del testo, forse all’origine pensato per Ninetto Davoli e Laura Betti. Rivive allora nell’ambiguità anche un’altra coscienza pasoliniana: «Nessun artista in nessun paese è libero. Egli è una vivente contestazione». Il corpo di Vivo è circoscritto da un rettangolo di luce e, come in una replica stantia della stessa guerra devastatrice, procede avanti e indietro con le sincopi e le rigidità di chi fa per resistere e arretra soltanto. Il suo essere «monumento della vita» agli occhi di Coscienza, sia che quest’ultima parli per voce della borghesia, sia che si rivolga a un partigiano della Resistenza, sbanda nella deriva solitaria. L’avvicendamento sopra e sotto il tavolo è piattaforma simbolo della reiterata fame di un corpo smemorato e della preghiera di un’attesa liberatoria. Il passo lento dell’uno al posto dell’assenza di lingua dell’altro chiude nella delicata dispersione di Cosa sono le nuvole, canzone scritta da Pasolini con Domenico Modugno per il film omonimo. Una voce arcana e insieme la sparizione nel buio dei danzatori per lasciare altra vita al grido disperante di una nuova coscienza.




Veggetti e l’incompiuta di Pier Paolo Pasolini
Al festival mitteleuropeo grande attenzione per Vivo e Coscienza
Elisabetta Ceron, 15.07.2013 @ Messaggero Veneto

link

Richiama il mondo di Pasolini attraverso forme astratte e quadri fortemente evocativi l’allestimento di Vivo e Coscienza, prima assoluta a Mittelfest del coreo-regista Luca Veggetti che approccia questo balletto-cantata, rimasto incompiuto, col pudore iniziatico “del lettore” e un formalismo coreografico veicolo di contenuti decisamente autentici. Chiaro il suo concetto di messa in scena che ci consegna un inedito Pasolini ispirato dalla danza e che dell'idea pasoliniania mantiene la forma generale attraverso parti registrate del testo - un monologo e schematiche didascalie - volte a situare l’azione scenica degli interpreti, alcuni decisamente talentuosi come Alice Raffaelli e Marco Pericoli. Coordinati dalla mano esperta di Marinella Guatterini gli allievi del corso di teatrodanza della Paolo Grassi di Milano. Un medesimo episodio si ripete ciclicamente attraversando epoche diverse: Seicento, rivoluzione francese, fascismo e resistenza nella forma incompleta di una morality play scandita da due personaggi allegorici incarnanti vita e coscienza. Ed è la voce emblematica del novantenne Francesco Leonetti, amico di Pasolini, a evocare per contrasto le quattro scene danzate (lavoro, rivoluzione, guerra e morte): da una parte la voce vissuta, intensa ma frastagliata del poeta, dall’altra 9 giovani generosi danzatori. Dimensione ambigua in cui è la voce che crea il contesto e denota i personaggi precedendo la danza la quale, a sua volta, entra in risonanza con la parola. I danzatori agiscono con l’ausilio di tre tavoli microfonati, utilizzati sia come scenografia (piattaforma di movimenti compulsivi, passerella, loculo, muro su cui scrivere) che come colonna sonora attraverso la loro funzione di captazione del suono, frutto di una sperimentata collaborazione tra Veggetti e Paolo Aralla. La composizione originale creata e rielaborata elettronicamente dal musicista - diversi materiali, musica antica, stralci di canzoni di Piaf e Modugno, rumori, suoni e pezzi originali - intercetta una partitura parallela, quella prodotta dal movimento nel suo agire con l’oggetto. Un universo acustico e plurilinguistico che tramite l' espressività della parola, viva del suo reale valore d’uso, coglie lo spazio fisico della danza e quello reale della vita.




Vivo e Coscienza
Simona Fossi 15.07.2013 @ www.kairosmagazine.it
link

Il progetto di Veggetti riporta alla vita quello che fu il ‘balletto-cantata’ Vivo e Coscienza di Pier Paolo Pasolini. Scritto negli anni ’60 ed incompiuto, avrebbe avuto la Biennale di Venezia come destinazione, in una collaborazione con il compositore Bruno Maderna e l’attrice Laura Betti. Pasolini propone uno schema dove l’opposizione tra vita e coscienza è incarnata da due personaggi antagonisti (appunto Vivo e Coscienza) e li collega a periodi storici diversi: Seicento, Rivoluzione Francese, Fascismo, Resistenza. Veggetti con gli allievi di Teatrodanza della Scuola Paolo Grassi di Milano, fa rivivere quest’opera articolandola in quattro “danze” o “quadri” che hanno per tema gli eventi di ogni periodo storico. I protagonisti, Vivo e Coscienza, si cercano e si sfiorano tra una folla di personaggi ma il destino ogni volta li divide. Cercano l’incontro, il contatto, forse il bacio. Attorno a loro una selva di gesti, mani, piedi ed un labirinto di ostacoli composti da relitti domestici: assi, tavoli e porte. I personaggi rappresentano l’eterno dissidio tra condizione umana e memoria. Su di loro gravano il peso della storia ma anche il desiderio di intimità familiare e il rapporto con la figura paterna. Alla danza si aggiunge la partitura musicale del compositore Paolo Aralla che fa da cornice alla coreografia. Rielaborando materiali sonori di epoche diverse, riesce a spaziare dalla musica del ‘600 sino alla cultura popolare del dopoguerra. Colpisce l’inserimento del canto distorto di Domenico Modugno in “Cosa sono le nuvole”. Elemento importantissimo è la voce di Francesco Leonetti, poeta e amico personale di Pasolini nonché attore in alcuni suoi film, che emoziona e rende ‘topici’ alcuni momenti. Ultimo elemento acustico è rappresentato da un progetto sonoro che esplora la captazione del movimento: i danzatori, battendo sui tavoli, azionano dispositivi audio trasformando il movimento in suono. Lo spettacolo alla fine risulta un’interpretazione potente e drammatica. I danzatori passano dal registro violento di lotta/azione a quello sentimentale di memoria/amore. Luci e colori sono minimali, per rendere ancora più d’effetto il movimento ed il suono, che rimbombano e trascinano letteralmente lo spettatore all’interno della storia.